DURI E PURI COL TESTOSTERONE ALLE STELLE

Chiunque pratichi l’allenamento di potenza in modo appena un poco serio, conosce perfettamente la sensazione di profondo benessere, pienezza muscolare, beato torpore che accompagna e segue un pasto iperproteico soprattutto se la pietanza appena spolverata era costituita da una massiccia, succulenta fiorentina accompagnata da due bicchieri di “quello buono”.

L’altro lato della medaglia però è costituito dal fatto che questo paradiso sulla terra male si accorda con la potenza esplosiva e la resistenza a breve termine necessarie per realizzare un perfetto allenamento. In realtà ci si allena molto meglio quando si è rigidamente regolati da una dieta, con la pancia quasi vuota ma i muscoli scattanti ed esplosivi. L’alimentazione iperproteica che da sempre i body builder raccomandano, fondamentale per mettere su chili di beef potrebbe non essere la più idonea per allenarsi in modo produttivo. Ecco come e perché.

DIETA E TESTOSTERONE[1]

• CALORIE E PROTEINE: Per quanto ad oggi l’argomento sia ancora controverso, diciamo subito che il digiuno è il peggiore nemico del nostro testosterone. Cinque giorni di digiuno possono ridurne la produzione anche del 50%. Tuttavia una riduzione calorica non superiore al 15% della quota di mantenimento sembra avere un effetto positivo sulla sua sintesi[2]. L’ipernutrizione invece, al pari del digiuno, abbassa la disponibilità dell’ormone[3] a causa dell’antagonismo tra insulina e testosterone, così come l’alterazione del ritmo sonno – veglia che può ridurne la produzione fino al 50%. Una dieta iperproteica sicuramente influisce negativamente sulla sua sintesi e sul suo riassorbimento renale che viene a trovarsi in svantaggio competitivo con i corpi chetonici. E’ dimostrato infine che quando la quota proteica supera quella glicidica sicuramente aumenta l’escrezione dello steroide attraverso le urine, anche se pare al tempo stesso di osservare l’incremento della sua frazione libera e quindi attiva[4].

• CARBOIDRATI E GRASSI: Quando la quota dei grassi è mantenuta per lo meno nell’ambito del 20%, i carboidrati sembrano aumentare sia la presenza dello steroide che delle SHBG. E’ altrettanto dimostrato però che tenendo costanti le proteine e aumentando i carboidrati a spese dei grassi, il testosterone diminuisce[5]. Si evidenzia quindi che piuttosto del rapporto proteine / carboidrati sono il rapporto tra glicidi e acidi grassi nonché le fibre presenti nell’alimentazione ad influenzare il fenomeno. E’ stato ampiamente evidenziato come l’incremento dei grassi, in particolare dei grassi saturi, determini un aumentata sintesi del testosterone. Le diete vegetariane d’altro canto la diminuiscono e aumentano invece le SHBG, diminuendo di conseguenza la quota libera dell’ormone[6], [7]. La risposta ormonale acuta all’incremento dei grassi alimentari è stata finora ambigua e non facilmente interpretabile, mentre le modificazioni croniche evidenziano una risposta positiva ai grassi saturi e monoinsaturi e negativa ai polinsaturi[8].

IN CONCLUSIONE

Per incrementare la produzione del testosterone la dieta più efficace sembra dovere essere leggermente ridotta in calorie,costituita per il 55% da carboidrati, per il 15% da proteine e per il restante 30% da grassi, preferibilmente saturi (carne rossa, uova) e monoinsaturi.

LA RELAZIONE TRA ORMONI DELL’ATTIVITA’ E ORMONI DI DEPOSITO

Per capire più a fondo i meccanismi finora esposti occorre notare la profonda diversità tra gli ormoni dell’attività (cortisolo e testosterone) che sono steroidi, derivati cioè dal colesterolo e gli ormoni di deposito (GH, IGF 1, insulina, tiroidei) che sono ormoni proteici. Queste due classi di messaggeri biochimici sono tra loro per molti versi antitetiche e attuano la rispettiva produzione in maniera inversamente proporzionale (quando testosterone e cortisolo salgono, GH e insulina scendono e viceversa). Questo avviene su base circadiana (nelle ventiquattro ore) e ultradiana (con ritmi stagionali o comunque molto estesi).

L’ESPERIENZA DI ARNAL[9]

Conciliare, su base circadiana, i vari andamenti ormonali con la nutrizione idonea agli sport di potenza diviene più semplice alla luce dello studio curato da Arnal per il Centro Francese di Ricerca sulla Nutrizione Umana. Il trial ha dimostrato con chiarezza che introdurre l’80% del fabbisogno proteico giornaliero in un unico pasto piuttosto che in diversi, più leggeri, spuntini, aumenta la sintesi proteica del 16% e la bilancia dell’azoto del 50%, con un maggiore accumulo giornaliero di proteine ancora del 50%. Quand’è allora che noi possiamo ingozzarci di proteine senza disturbare la produzione del testosterone, stimolando ancora di più una sintesi del GH in quel momento già di per se elevata? A cena ovviamente, sommando e potenziando gli stimolo anabolici che si realizzano durante la notte.

SI PUO’ FARE DI PIU’?

Probabilmente si può. Proviamo a pensare che mentre il recupero degli zuccheri si risolve più o meno in ventiquattro ore, gli effetti dell’allenamento sulla ricostruzione muscolare possono protrarsi anche per quindici giorni[10]. Il processo di sviluppo delle nuove fibre non è quindi circadiano bensì infradiano. Viene da chiedersi allora che senso abbia interrompere la ricostruzione, l’anabolismo con nuovi ripetuti episodi catabolici di allenamento. Non sarebbe più razionale attendere invece i cinque, dodici giorni necessari allo sviluppo di nuovi tessuti (Mentzer lo sostiene da anni con vigore) per tornare successivamente a stimolare la muscolatura? E’ ovvia conseguenza il fatto che scindendo così nettamente le diverse fasi anche la nutrizione dovrebbe essere armonizzata ai due cicli. Così facendo fasi cataboliche e anaboliche si alternerebbero ma non si sovrapporrebbero e quindi non si disturberebbero a vicenda. E’ il concetto che sta alla base del CICLO CIANTI DELLA CACCIA E DEL RIPOSO.

L’ASSE IPOTALAMO – IPOFISI -GONADI

Tre ghiandole costituiscono la catena che attiva la produzione del testosterone: l’ipotalamo, l’ipofisi, i testicoli. IL GnRH (GonadotrophinReleasing Hormon) prodotto dall’ipotalamo, stimola l’ipofisi a liberare l’ormone luteizzante (LH) che a sua volta attiva le cellule del Leyding a produrre il testosterone, partendo da molecole di colesterolo. Quando i livelli circolanti nel sangue dell’ormone maschile superano il livello ottimale, un meccanismo di feedback interrompe l’attività gonadotropa dell’ipofisi. Viceversa livelli ridotti di testosterone la riaccendono.

TESTOSTERONE E SHBG

Una volta nel sangue parte del testosterone è raccolto da una proteina, l’SHBG (Sex Hormone Binding Globulin). Circa il 54% dell’ormone circolante è legato a questa proteina mentre la parte restante viene veicolata dalle albumine e solo per il 2% rimane libera. Queste due ultime frazioni del testosterone sono bioattive e possono quindi stimolare i tessuti oppure convertirsi in estrogeni, DHEA o Dihydrotestosterone (DHT).

Giovanni Cianti; Sport e Salute, 4 Luglio 2000

 

1 T. INCLEDON, MS et al “The Effects of Diet on Testosterone” MESOMORPHOSIS vol. 2 n° 7 / 2000.

2 GARREL et al “Hormonal Changes in Normal Men under Marginally Negative Energy Balance” AMERICAN JOURNAL OF CLINICAL NUTRITION, 39 (6): 930-6, 1984 June.

3 PRITCHARD et al “Plasma Adrenal, Gonadal and Conjugated Steroids before and after Long-Term Overfeeding in Identical Twins” JOURNAL OF CLINICAL ENDOCRINOLOGY & METABOLISM, 83 (9): 3277-84, 1998.

4 KE. ANDERSON et al “Diet-Hormone interactions: Protein / Carbohydrate Ratio Alters Reciprocally the Plasma

Levels of Testosterone and Cortisol and their Respective Binding Globulins in Man” LIFE SCIENCES, 40 (18): 1761-8, 1987 May 4.

5 E.HAMALAINEN et al “Diet and Serum Sex Hormones in Healthy Men” JOURNAL OF STEROID

BIOCHEMISTRY, 20 (1): 459-464,1984 Jan.

6 A. BELANGER et al “Influence of Diet on Plasma Steroid and Sex Plasma Binding Globulin Levels in Adult Men” JOURNAL OF STEROID BIOCHEMISTRY, 32 (6): 829-833, 1989

7 B.J.HOWIE, T.D. SHULTZ “Dietary and Hormonal Seventh-Day Adventist and Non Vegetarian Men” AMERICAN JOURNAL OF CLINICAL NUTRITION, 42: 127-134, 1985 July.

8 J.S. VOLEK et al “Testosterone and Cortisol in Relationship to Dietary Nutrients and Resistance Exercize” JOURNAL OF APPLIED PHYSIOLOGY, 82 (1): 49-54, 1997 Jan.

9 ARNAL, M-A et al “Protein Pulse Feeding Improves Protein Retention in Elderly Women” AMERICAN JOURNAL OF CLINICAL NUTRITION, 69: 1,202-1208, 1999.

10 G.E.BUTTERFIELD “Whole Body Protein Utilization in Humans” MED. SCI. SPORTS EXERC. Vol. 19, 1987.

Uso ed abuso dei beta-bloccanti nella pratica sportiva

Con il termine di beta-bloccante (BB) si intende qualsiasi inibitore competitivo degli effetti delle catecolamine a livello dei siti recettoriali beta-adrenergici. L’effetto principale dei beta-bloccanti consiste in una riduzione della attività cardiaca dovuta a una diminuita stimolazione dei recettori beta-adrenergici.

L’utilizzo di questo tipo di farmaci, riduce la velocità e la forza contrattile del miocardio e diminuisce la velocità di conduzione degli impulsi attraverso il sistema di conduzione, comportando una ridotta la risposta cardiaca nel corso dell’esercizio fisico..

Queste proprietà vengono utilizzate nel trattamento dell’angina pectoris allo scopo di ridurre il consumo di ossigeno ed aumentare la tolleranza del cuore all’esercizio. I farmaci beta-bloccanti sono utilizzati anche nel trattamento delle aritmie cardiache e in quello a lungo termine dell’ipertensione. Possiedono questa attività farmaci come l’isoproterenolo, il pronetalolo, il propranololo, ecc.

Tuttavia le sostanze beta-bloccanti sono utilizzate come doping anche in atleti sani come nel caso degli specialisti nelle discipline di tiro con pistola e carabina o con l’arco, ossia in quelle discipline dove per l’atleta è necessario esprimere il massimo della precisione prescindendo dagli stati emotivi, che possono comportare, come ben noto, un’alterazione del ritmo cardiaco.

Le sostanze beta-bloccanti possono causare una diminuzione della lipolisi che può portare ad una minore disponibilità di acidi grassi non esterificati (NEFA) che costituiscono una delle fonti principali d’energia nel corso di esercizi di resistenza, tuttavia alcuni Autori (Van Baak e coll., 1993) suggeriscono come la ridotta disponibilità di NEFA, causata dalla somministrazione di NEFA, non costituirebbe il maggior fattore responsabile della riduzione della prestazione in ambito resistivo, avanzando nello stesso tempo l’ipotesi di un effetto delle sostanze beta-bloccanti sul meccanismo di trasporto di membrana dei NEFA stessi.

In bibliografia è riscontrabile come in individui normotesi ed ipertesi, il trattamento con BB non causi diminuzione della prestazione di resistenza nel caso di esercizi sub-massimali, al contrario nel corso di esercizi resistivi condotti ad intensità massimale il trattamento con BB, effettuato su individui normotesi ed ipertesi, condurrebbe ad un calo della prestazione, causato principalmente da una diminuzione del massimo consumo di O2, cha a sua volta risulterebbe correlato al grado di affinità dei beta 1 recettori e con l’entità del dosaggio farmacologico somministrato (Pescatello e Buckley, 1995; Van Baak e coll., 1987).

Inoltre la capacità di sostenere allenamenti di tipo cardiovascolare, sempre in individui normotesi ed ipertesi trattati maniera cronica con BB, sembrerebbe maggiore nel caso di trattamenti con BB selettivi rispetto a trattamenti a base di BB non selettivi. I BB non selettivi infatti, limiterebbero, al contrario dei BB selettivi, la capacità di termodispersione del calore generato durante il lavoro di resistenza (Eston e Connoly, 1996; Jilka e coll. 1988).

In ogni caso, nel momento in cui si prescrivano esercitazioni di tipo aerobico in pazienti cardiopatici ed ipertesi, concomitanti all’uso di BB, occorre ricordare come questi ultimi alterino i valori assoluti del target del heart rate, ma non le intensità relative riferite al target stesso. Per questo motivo le prescrizioni normalmente raccomandate relative a frequenza durata e modalità delle esercitazioni, debbono rimanere inalterate anche nel caso di trattamento con BB, unite possibilmente ad un uso sistematico della scala di Borg per la percezione soggettiva dello sforzo (Pescatello e Buckley, 1995; Eston e Connoly, 1996; Gordon e Duncan. 1991).

L’utilizzo di BB comporta, in soggetti non ipertesi, una diminuzione della massima frequenza cardiaca, del consumo di O2, della ventilazione, fattori che comportano una sensibile diminuzione della prestazione di resistenza (Jilka e coll. 1988) che può arrivare sino ad una aumento medio del 33% del tempo necessario ad effettuare una prestazione tipicamente aerobica come i 5000 metri piani (Bengtsson C., 1991).

Gli effetti collaterali ed i rischi connessi ad un utilizzo improprio di BB sono: fibrillazione cardiaca, arresto cardiaco, senso di affaticamento e spossatezza, broncospasmo, nausea, disturbi gastro intestinali ed impotenza, inoltre i BB sono assolutamente sconsigliati nei soggetti asmatici e diabetici. Da quanto esposto quindi risulta chiaro che il ricorso a questi farmaci è giustificato solamente nel caso di terapia su atleti ipertesi sotto stretto controllo medico, per questa ragione il Comitato Olimpico Internazionale ha classificato i farmaci BB nella classe E delle sostanze soggette a determinate restrizioni d’uso.

Per chi volesse saperne di più…

Bengtsson C. Effects of various antihypertensive drugs on the physical performance of a healthy person. Scandinavian Journal of Medicine and Science in Sports (Copenhagen) 1(1), Feb 1991, 51-54

Eston R., Connolly D. The use of Ratings of Perceived Exertion for exercise prescription in patients receiving beta-blocker therapy. Sports Medicine-(Auckland, N.Z.) 21(3), Mar 1996, 176-190

Gordon NF., Duncan JJ. Effect of beta-blockers on exercise physiology: implications for exercise training. Medicine and Science in Sports and Exercise-(Baltimore, Md.) 23(6), June 1991.

Jilka SM., Joyner MJ., Nittolo JM., Kalis JK., Taylor JA., Lohman TG., Wilmore JH. Maximal exercise responses to acute and chronic beta-adrenergic blockade in healthy male subjects. Medicine and Science in Sports and Exercise(Indianapolis) 20(6), Dec 1988,

Pescatello LS., Buckley T. The influence of beta blockade on exercise performance in thermoneutral and warm environments. Medicine, Exercise, Nutrition and Health (Cambridge, Mass.)- 4(2), Mar/Apr 1995, 77-92 Refs:123

Van Baak MA., MooijJM., Wijnen JA. Effect of increased plasma non-esterified fatty acid concentrations on endurance performance during beta-adrenoceptor blockade

International Journal of-Sports Medicine (Stuttgart) 14(1), Jan 1993, 2-8

Van-Baak MA., Boehm RO., Arends BG., Van-Hooff ME., Rahn KH. Long-term antihypertensive therapy with beta-blockers: submaximal exercise capacity and metabolic effects during exercise. International Journalof Sports Medicine (Stuttgart) 8(5), Oct 1987, 342-347



Gian Nicola Bisciotti
Dr. in scienze motorie

Il tessuto adiposo, metabolicamente attivo

Oggi sappiamo che il tessuto adiposo non è affatto inerte come si credeva ma, al contrario, è un tessuto molto attivo dal punto di vista delle reazioni biochimiche, nonché un produttore di ormoni (come la leptina: ormone prodotto dagli adipociti, che sembra svolgere un ruolo molto importante nella regolazione dell’assunzione di cibo).

Come si è detto, il tessuto adiposo è un tessuto attivo in equilibrio tra liposintesi e lipolisi.

Continuamente, all’interno degli adipociti – che grossolanamente potrebbero essere descritti come delle cellule occupate, per la quasi totalità, da un goccia di grasso con il nucleo schiacciato lateralmente – gli acidi grassi vengono depositati e rimossi seguendo i meccanismi di controllo ormonali e neuronali.

Adipociti uniloculari del tessuto adiposo bianco.
(Courtesy: Department of Histology, Jagiellonian University Medical College)

In altre parole, nel tessuto adiposo gli acidi grassi, si muovono sia dentro che fuori le cellule, reintegrando le riserve di trigliceridi o rispondendo alla situazione di “domanda” dell’organismo durante l’attività fisica. Questi movimenti sembrano essere governati da gradienti di concentrazione che sono influenzati dalla dieta, dall’esercizio e dallo stress. Quest’attività induce a pensare che molteplici devono essere i punti di regolazione dei movimenti di entrata e di uscita degli acidi grassi dal tessuto adiposo, i quali devono interagire in maniera coordinata. Sembra che tutti questi movimenti siano guidati dall’azione delle lipoprotein-lipasi nei capillari.
In stato di digiuno è molto sviluppata l’azione della lipasi, ormone sensibile e, perciò vengono generati acidi grassi molto rapidamente con meccanismi intracellulari.

Si nota, inoltre, un netto movimento degli acidi grassi con un gradiente di concentrazione da cellula a capillare. In altri termini, la lipoprotein-lipasi viene modulata dall’azione stimolante di ormoni come le catecolamine, gli ormoni tiroidei, l’ACTH, il cortisolo ed in senso inibitorio essenzialmente dall’insulina.
Contemporaneamente gli acidi grassi derivati dalla lipoprotein-lipasi sembra siano, almeno quantitativamente, “persi” nel plasma, probabilmente a causa dello scarso gradiente di concentrazione che favorisce il recupero intracellulare. In altre parole, mentre la HSL “scioglie” i grassi all’interno dell’adipocita, la LPL (che ha l’azione opposta, cioè quella di recuperare i grassi dal sangue e portarli negli adipociti), sembra meno efficiente. In stato di nutrimento si verifica invece la situazione opposta, giacché sono invertiti i gradienti di concentrazione e l’opera dell’HSL è indebolita dall’azione dell’insulina. L’esterificazione viene stimolata più rapidamente dalla LPL: in questo modo gli acidi grassi derivati dalla LPL entrano nella cellula esterificati e vengono depositati come riserva. Nella lipolisi i trigliceridi, dopo essere stati idrolizzati (scissi), formano Acidi Grassi non Esterificati /NEFA) e glicerolo, i quali escono dagli adipociti per entrare nel plasma, attraverso un processo che si svolge in diverse fasi e che è promosso dall’enzima lipasi. Il metabolismo dei NEFA in vivo viene regolato da fattori ormonali, stimolazioni nervose e inibizioni da parte da una varietà di fattori locali e sistemici che sopprimono la lipolisi. Anche il flusso sanguigno riveste un ruolo importante nella mobilizzazione dei grassi, anche se entro certi limiti, poiché se il ritorno plasmatico diviene elevato, non è possibile il trasferimento dei NEFA al plasma. A questo punto, al contrario di quello che si potrebbe pensare, il destino degli acidi grassi non è segnato, poiché dipende in realtà dalla disponibilità di substrati, nonché dalla presenza di ormoni. Nella scelta del tipo di carburante da utilizzare sono coinvolti due enzimi chiave: il PDH (piruvato deidrogenasi) e il CPTI (carnitinpalmitoltransferasi1). Il PDH controlla l’ingresso dei CHO mentre il CPTI quello dei grassi.

  (fonte: Wikimedia – autore: P. Forster)

 

Francesco Crisafulli,
Personal Trainer e 2 volte campione Italiano F.I.P.C.F. CONI.

Lo stato metabolico aerobico “maldistribuito”

In questi ultimi anni si sono verificate importanti scoperte in campo scientifico che consentono una migliore metodologia applicativa in alcune attività sportive di rilievo.

Secondo il Professor Pietro Enrico di Prampero dell’Università di Udine, un’importante esperienza scientifica riguarda la cosiddetta soglia anaerobica, vale a dire un livello metabolico di esercizio fisico che corrisponde ad una concentrazione di 4 millimo/litro di lattato nel sangue.

Una definizione, questa, che però non risulta corretta poiché nell’allenamento il lattato si stabilizza a volte ad un livello di 5, 6, 7 mill/l. In questa situazione si può anche non determinare una condizione di anaerobiosi (il termine corretto dovrebbe essere ipoaerobioosi, poiché l’ossigeno c’è ma in quantità insufficiente) in quanto la concentrazione del lattato prodotto non aumenta grazie all’attività delle fibre muscolari iperaerobiche (rapporto ATP/ossigeno =5,66). Nonostante la produzione metabolica di lattato, l’organismo si trova quindi in una seconda condizione di aerobiosi, definita “maldistribuita” per distinguerla da quella classica che non conduce all’esaurimento e che è sostenuta anche dall’attività di fibre muscolari ipoaerobiche (rapporto ATP/ossigeno = 6,66) che costituiscono l’anello debole della catena che induce l’insorgenza della fatica.

Tali fibre depauperano le loro riserve energetiche di glicogeno ad un ritmo straordinariamente veloce con evidenti modificazioni peggiorative della prestazione muscolare (diminuzione della velocità, arresto dell’allenamento o della gara). Dal punto di vista metodologico è quindi necessario sviluppare al massimo tramite l’allenamento fisiologico la condizione aerobica classica per evitare di avere alte concentrazioni anche se costanti di lattato nel sangue da 2 o 3 a 8 millimoli/l. Per chi pratica uno sport a qualsiasi livello è importante conoscere questa situazione fisiologica proprio per evitare l’interruzione dell’allenamento a causa dell’insorgenza della fatica. Ricapitolando, si può affermare che è sbagliato pensare che un esercizio fisico è aerobico quando è sotto i 4 millimoli di acido lattico e anaerobico quando è al di sopra dei 4 millimoli.

Una seconda situazione metabolica aerobica può essere generata anche se ci si trova nella condizione oltre i 4 millimoli nel sangue, purché la concentrazione di lattato rimanga costante. Le conseguenze di tutto ciò a livello pratico sono: una corretta attività motoria sia per chi pratica sport individualmente, sia per coloro che seguono corsi in palestra. Per determinare correttamente il dispendio energetico globale si dovrebbe valutare non solo il consumo di ossigeno, ma anche l’accumulo di lattato (equivalente energetico uguale a 3 ml di ossigeno per mmol. di lattato accumulato per kg di peso corporeo).

 

 

Ginetto Bovo
Dr. in scienze motorie, docente di educazione fisica

La Respirazione

L’organismo umano, per vivere, necessita di ossigeno e di energia. Da tali processi ne derivano altri, con complesse interazioni che creano una reazione tra l’ossigeno ed i substrati chimici alimentari.

Quando nell’organismo si ha una combinazione tra carbonio ed ossigeno si sviluppa, in seguito, calore ed anidride carbonica. Questo processo, detto “di combustione”, è, come molti altri, indispensabile per la vita, a patto che un organismo riesca ad interagire con l’esterno.

Nel caso della combustione organica l’organismo deve assumere ossigeno che si trova nell’ambiente esterno ed in seguito deve essere in grado di espellere l’anidride carbonica, quale sottoprodotto di scarto.

L’apparato adibito all’immissione di ossigeno ed all’eliminazione di anidride carbonica all’esterno dell’organismo, per avviare il processo di combustione, è costituito dai polmoni. Questi ultimi, però, non lavorano soli. Ed infatti il sangue è il veicolo che, assieme ai polmoni, trasporta l’ossigeno e scarta l’anidride carbonica. Da non dimenticare, in questo processo, che il sangue si muove grazie alla fondamentale azione cardiaca, tanto che, un arresto cardiaco, comporta immediatamente anche un arresto respiratorio. Il sangue, grazie al cuore, trasporta ossigeno a tutti i distretti del nostro corpo e porta via l’anidride carbonica che si è creata nei processi ossidativi. Tutto questo avviene in ogni cellula con il nome di “respirazione cellulare”. Per quanto riguarda i processi gassosi tra aria e sangue, i polmoni sono il luogo ove queste fasi avvengono. Questi processi si chiamano EMATOSI.

Analizzando meccanicamente la respirazione possiamo dividerla in 4 fasi:

1 In questa fase primaria, detta di VENTILAZIONE, si ha uno scambio d’aria tra atmosfera e alveoli. In questo primo step vi è dell’aria che entra ed esce dai polmoni. L’aria, distribuendosi nei polmoni sempre in grande volume, va mantenuta costante, al fine di poterla distribuire egualmente all’interno dei milioni di alveoli ivi presenti.

2 Nella fase di DIFFUSIONE si ha uno scambio di ossigeno ed anidride carbonica tra aria alveolare ed i capillari polmonari. Proprio grazie alla fase di diffusione si può notare quanto il flusso sanguigno polmonare sia importante per la distribuzione di ossigeno.

3 Grazie al sangue si ha un trasporto di ossigeno ed anidride carbonica. L’importanza di questa fase sta proprio nel rappresentare un collegamento (TRASPORTO FUNZIONALE) tra il sistema cardiovascolare e quello respiratorio.

4 Ultima e non meno importante fase è quella dello scambio attivo tra sangue e tessuti di ossigeno ed anidride carbonica (grazie al sangue che scorre lungo i capillari tissutali). Questa fase avviene per diffusione e rappresenta il ciclo finale di ventilazione.

 

Meccanicamente l’aria segue questo percorso:

  • NASO O BOCCA
  • LARINGE
  • FARINGE
  • TRACHEA
  • BRONCHI
  • BRONCHIOLI

 

I polmoni, grazie alle loro proprietà elastiche, possono espandersi e contrarsi. All’espansione corrisponde un’immissione di aria al loro interno, mentre, alla contrazione, corrisponde l’espulsione dell’aria in essi presente. L’associazione di espansione e contrazione prende il nome di ATTO RESPIRATORIO, composto da due fasi, dette di “inspirazione ed espirazione”.

INSPIRAZIONE: in questa fase si ha un aumento del volume della capacità toracica causato dalla contrazione dei muscoli inspiratori ( DIAFRAMMA E INTERCOSTALI ESTERNI ), come il DIAFRAMMA, primo per importanza nella respirazione. La sua funzione è quella di abbassarsi quando si contrae, in tal modo aumentando la capacità toracica e permettendo un maggior afflusso di aria nei polmoni. Diversamente, gli INTERCOSTALI ESTERNI causano un innalzamento ed uno spostamento delle costole grazie alla contrazione, anche loro in tal modo contribuendo ad un aumento toracico, assieme al diaframma.

ESPIRAZIONE: avviene del tutto involontariamente poiché consiste nel rilascio del diaframma e degli intercostali esterni che fanno ritornare al volume iniziale la gabbia toracica.

Raffigurazione del muscolo diaframma

Raffigurazione della gabbia toracica

 

In generale un atto respiratorio normale riesce a catturare circa 500ml di aria, ma questo volume, se sotto sforzo o per necessità avvenuta, può aumentare fino a 2000-3000ml . Un uomo normale respira circa 16 volte al minuto, mentre la donna respira un po’ meno; un bambino appena nato, invece, respira 60-70 volte al minuto. Nel nostro organismo, affinché la respirazione funzioni, deve essere presente nel sangue una certa percentuale di anidride carbonica che stimola la respirazione e chiama ossigeno nel corpo. Nel caso in cui l’anidride carbonica presente nell’aria dovesse aumentare e superare il 9%, si verificherebbero velocemente dei problemi respiratori anche gravi.

Fluttuazioni ormonali e dimagrimento : Strategie per perdere peso

Introduzione ai concetti chiave dell’aumento e diminuzione di grasso corporeo.

Testosterone, Estrogeni e Recettori Adrenergici correlati con Adrenalina e Noradrenalina.

L’energia muscolare proviene da due fonti: dal glicogeno e dai trigliceridi depositati nelle cellule muscolari, trasformati in ATP (adenositrifosfato) dal sangue che apporta glucosio e acidi grassi derivanti entrambi dalla nutrizione, o dalla lipolisi del tessuto adiposo.

Il grasso è normalmente accumulato sotto forma di trigliceridi nelle cellule adipose. Quando si inizia a condurre un regime alimentare ipocalorico si innescano due differenti processi:

1. la lipolisi del tessuto adiposo che fa in modo di far passare il grasso sotto forma di acidi grassi dalle cellule adipose al sangue.

2. la Beta-ossidazione dei grassi, e cioè quel processo mediante il quale, gli acidi grassi portati nel sangue vengono bruciati per fornire energia a lungo termine.

La lipolisi è principalmente stimolata da due ormoni: l’Adrenalina e la Noradrenalina che agiscono su degli specifici recettori distinti in Recettori Alfa-adrenergici, Beta-adrenergici ed i B1 B2 B3 adrenergici.

Passando attraverso il flusso sanguigno questi due ormoni compiono la loro azione a seconda che si leghino con quelli alfa o con quelli beta. Il tessuto adiposo contiene sia i recettori alfa che quelli beta con la sola differenza che quando i suddetti ormoni si legano a quelli alfa inibiscono la lipolisi mentre a quelli beta la stimolano.

L’obesità maschile e femminile prende due nomi differenti: ginoide (a pera) quella femminile e androide (a mela) quella maschile. La struttura genetica assume un ruolo determinante riguardo ai processi di tonificazione e rassodamento. Ad esempio nella donna, e precisamente nella sua regione addominale, troviamo più recettori beta-adrenergici mentre nella zona dei glutei e delle cosce troviamo maggior percentuale di recettori alfa. Nell’uomo invece la regione addominale contiene pochi recettori beta-adrenergici a vantaggio delle cosce e glutei che sono costituiti da molti recettori beta. Infatti molto spesso il maschio ha la classica pancia ma gambe toniche e con poco grasso, mentre la donna ne ha di più nelle zone delle gambe e glutei piuttosto che nell’addome. Non dimentichiamo però che esistono anche dei casi particolari dove si può verificare il contrario legati a sbalzi ormonali.

Ho già detto che la distribuzione dei recettori adrenergici è influenzata dagli ormoni sessuali e dunque dal testosterone, che distribuisce il grasso nel giro vita, e dagli estrogeni, che lo fanno accumulare nella parte bassa. Conseguentemente si può quindi giungere alla conclusione che, anche se avessimo una maggior produzione di ormoni adrenalina e noradrenalina nel sangue prodotte dalle ghiandole surrenali a causa di una dieta ipocalorica ma una grande percentuale di recettori alfa e poca di quelli beta, il nostro risultato lipolitico sarà proporzionalmente scarso.

Possiamo aiutare il nostro metabolismo con delle sostanze che stimolino i recettori beta, ad esempio con la caffeina, sinefrina ecc. e bloccare gli alfa con la yohimbina. Non basta però solo questo a risolvere la situazione.

Un altro fattore molto importante è la circolazione sanguigna. Io direi anzi che è il fattore nel quale il più delle volte è da ricercare un accumulo di grasso sproporzionato.

Molto spesso si vedono delle persone grasse ma, nella maggior parte delle volte a meno che non ci siano problemi di angiopatia, gli avambracci e i polpacci sono magri e tonici. Come mai? Il motivo è che queste parti sono anche le più tenute in movimento durante tutto l’arco della giornata e dunque più irrorate di sangue. Quale è allora la causa di tutto ciò? Il motivo risiede nel fatto che l’afflusso sanguigno abbondante nella zona, che ripetutamente è in movimento, impedisce l’esterificazione degli acidi grassi non facendoli penetrare nelle cellule adipose. Occorre quindi bersagliare quella zona che si vuol rassodare, più volte a settimana, anche con sedute di elettrostimolazione, massaggi ed esercizi mirati per amplificare i risultati e raggiungerli nel più breve tempo possibile.

 

Francesco Crisafulli,

Personal Trainer e 2 volte campione Italiano F.I.P.C.F. CONI.

Metabolismo, può davvero diventare più veloce? (piccole pillole)

Il metabolismo basale è la quantità di energia di cui il corpo ha bisogno per auto-mantenersi, compiendo tutte le funzioni normali, dalla respirazione alla circolazione del sangue.

Ci sono molte cose che rendono più alto il bisogno di energia da parte del corpo: insonnia, un ambiente caldo o freddo, anche la febbre.

 

Ma queste circostanze non influiscono concretamente con il dimagrimento. Per perdere peso il modo più efficace per aumentare il metabolismo è aumentare la massa muscolare.

Mantenere la massa muscolare richiede più energia che mantenere quella grassa.

Insomma, se due uomini pesano 80 Kg, e uno ha il 10% di grasso corporeo, l’ altro il 20%, il primo brucerà più calorie sia a riposo che durante l’ allenamento.

Non riesco a dimagrire… Gli Ormoni Tiroidei

Nella chimica metabolica del corpo umano dosi fisiologiche di ormoni tiroidei stimolano direttamente i processi anabolici, mentre alte dosi di ormoni tiroidei sono causa dell’aumento dei processi catabolici.

Scopriamo in questo articolo come mai alcune persone nonostante molto allenamento e riduzione delle calorie nella propria dieta non riescono proprio a dimagrire capendo meglio gli effetti metabolici degli ormoni tiroidei sul nostro corpo.

 

Il consumo di ossigeno e la produzione di calore sono direttamente proporzionali alla produzione degli ormoni tiroidei, una variazione in negativo o in positivo di questi ormoni determina un aumento o una diminuzione del consumo di ossigeno ed influenza un aumento o un abbassamento del calore (temperatura corporea); ne deriva che il metabolismo generale dell’organismo e lo stesso metabolismo basale sono controllati direttamente dalla tiroide.

Nel tempo e con innumerevoli studi si è riusciti a dimostrare che, a livello metabolico, se avviene un innalzamento degli ormoni tiroidei (IPERTIRODISMO) fisiologicamente la sintesi proteica resta in parte compromessa ovvero si ha un aumento del catabolismo proteico con conseguente bilancio azotato negativo (i muscoli tendono ad atrofizzarsi e a livello osseo la matrice proteica diminuisce con evidente mobilizzazione di calcio).

A livello intestinale, sempre in una condizione d’ipertiroidismo, si ha un aumento dell’assorbimento di glucosio, infatti, la tiroide ha una grossa influenza sul metabolismo degli zuccheri; gli ormoni tiroidei potenziano l’azione dell’insulina a favore dell’utilizzazione di glucosio a livello muscolare e sinergizzano l’azione glicogenolitica e iperglicemizzante delle catecolamine.

Nel metabolismo lipidico gli ormoni tiroidei hanno funzioni molto complesse che possiamo distinguere in:
-sintesi

-mobilizzazione

-catabolismo

Quando aumentano a livello ematico gli ormoni tiroidei, si ottiene un’azione catabolica dei lipidi, infatti, in questo caso si hanno una distruzione ed un depauperamento delle riserve lipidiche (anche le più vecchie) con perdita del grasso corporeo; al contrario quando i livelli tiroidei sono sotto la norma prevale la sintesi e la deposizione dei grassi.

Alcune persone nonostante interminabili sedute di allenamento in palestra e la drastica riduzione delle calorie introdotte con l’alimentazione non riescono a dimagrire neppure di un solo grammo; spesso allenatori ed istruttori si accaniscono sempre di più infliggendo regimi dietetici impossibili e torture vere e proprie quando basterebbe valutare l’efficienza tiroidea di queste persone, vi suona strano……?

Ebbene sì se la vostra tiroide non funziona correttamente potreste andare incontro a situazioni come quelle sotto elencate:

IPOTIROIDISMO: ovvero una condizione patologica nella quale si verifica un rallentamento dei processi metabolici che interessa tutti gli organi e gli apparati; è causata da una scarsa produzione di ormoni tiroidei.

Se questa patologia si verifica nell’infanzia e non viene curata alla lunga può portare a dei gravi problemi.

Il nostro corpo cerca di compensare questa mancanza metabolica ipertrofizzando la tiroide e creando il classico “gozzo” che si può notare sul collo delle persone che soffrono di questa patologia; purtroppo questo “rimedio” risulta del tutto inutile e nella maggior parte dei casi anche dannoso.

La sintomatologia dell’ipotiroidismo causa generalmente :

-sonnolenza continua (nei casi gravi fino al coma)

-rallentamento delle funzioni intellettive

-stanchezza e debolezza cronica

-intolleranza al freddo

-gozzo

-cute fresca e secca

-aumento del peso corporeo

-pallore e anemia

-stipsi

A livello sportivo soffrire anche lievemente di ipotiroidismo comporta un rallentamento del metabolismo basale ( gli ormoni tiroidei influenzano direttamente questa funzione) ed alla lunga un inevitabile accumulo di adipe nonostante i continui sforzi per non ingrassare.

Se da tempo vi allenate e siete a dieta, ma non riuscite a dimagrire, valutate con un medico i vostri valori tiroidei ( TSH, T3 e T4) ed il vostro tasso metabolico, solo in questo modo potrete determinare la vostra efficienza nella distruzione del grasso.

IPERTIROIDISMO: chi soffre di questa condizione avrà un’iperattività metabolica e la sua tiroide produrrà un’eccessiva quantità di ormoni tiroidei.

Anche questa patologia se non curata alla lunga produrrà gravi conseguenze ed un evidente gozzo a metà collo causando un’iperplasia tiroidea che può degenerare in un e vero e proprio tumore da asportare chirurgicamente.

In questo caso la sintomatologia è esattamente l’opposto:

-gozzo

-esoftalmo (piccole lesioni a livello oculare) e altri segni di sofferenza oculare

-tachicardia

-ipertensione

-tremori

-nervosismo

-insonnia

-perdita di peso associata ad aumento dell’appetito

-mani calde e umide

-intolleranza al caldo

Questa condizione di iperattività metabolica farà schizzare alle stelle il vostro metabolismo basale creando cosi un’impossibilità di riuscire ad aumentare la vostra massa muscolare. Come detto in precedenza sarebbe bene (se dopo svariati tentativi di aumento di peso non vi riesce di crescere neanche di un grammo) effettuare un controllo insieme al medico dei vostri valori tiroidei.

Sappiamo tutti benissimo quanto faticoso sia praticare uno sport ponendoci degli obiettivi ed un controllo metabolico è davvero velocissimo da effettuare: questo vi metterà nella condizione ideale per raggiungere il vostro obiettivo, sia esso perdere adipe o acquisire nuova massa muscolare.

I Sistemi di Misurazione Corporea

Esistono vari sistemi per la valutazione antropometrica ed ognuno di loro ha caratteristiche di misurazione differenti, che ne determinano l’affidabilità e l’efficacia.

Possiamo (generalizzando) suddividerli in due categorie:

metodo invasivo e metodo non invasivo

METODO INVASIVO

Ovvero una tipologia di metodo, come il prelievo del sangue ad esempio, che invade in qualche modo il nostro corpo.
Al metodo invasivo appartengono i sistemi di misurazione come:
– Termografia coassiale computerizzata (TAC)
– Risonanza magnetica nucleare (RMS)
– Idrometria

 

METODO NON INVASIVO

Un metodo, come la misurazione della circonferenza del braccio, che rispetta invece il nostro corpo.

Del metodo non invasivo fanno parte invece:
– Pesatura idrostatica
– Minerologia ossea computerizzata
– Metodo degli ultrasuoni
– Plicometria
– Impedenziometria

Vediamo ora di analizzare vantaggi e svantaggi di alcuni metodi per la valutazione:

 

Metodo IDROSTATICO:

E’ il sistema più accurato tra i metodi di misurazione indiretti ed è adatto a tutte le età; per contro però è un sistema costoso ed è necessario, perché sia preciso, misurare il volume residuo dei polmoni.

Sostanzialmente, l’esame consiste nell’immersione del soggetto in una piscina e, previa misurazione del volume residuo dei polmoni ( che normalmente viene valutato facendo esalare al soggetto l’aria residua), mentre è fermo sott’acqua, si valuta la composizione corporea tramite la

diversità del peso specifico tra adipe e massa muscolare.

Il margine di errore può essere +/- 1% di grasso e +/- 3% se non si misura l’aria nei polmoni.

 

 

Metodo PLICOMETRICO:
E’ un sistema economico applicabile su larga scala, adatto per la gran parte degli adulti; il grosso svantaggio di questo sistema è che se la persona che esegue la plicometria non è un esperto e non dispone di una buona manualità il risultato della misurazione risulta sfalsato di molto.

Inoltre il limite della plicometria è che non misura i grassi interni ma solo quelli esterni, poiché è una tecnica manuale che permette la misurazione di pliche cutanee o adipose (spessore del pannicolo adiposo sottocutaneo); tramite dei calcoli è possibile arrivare ad avere la percentuale di grasso totale.

Il margine di errore può essere +/- dal 3,5% al 4% sui grassi.

Metodo IMPEDENZIOMETRICO:
Richiede quattro elettrodi per poter funzionare, ed è un sistema applicabile su larga scala; è adatto inoltre anche a misurare la percentuale di acqua nel corpo. Si tratta di piccole scariche di corrente che per impedenza bioelettrica attraversano il corpo e poiché il grasso oppone una resistenza diversa da quella dell’acqua il sistema riesce a rilevare la differenza e a misurare la percentuale corporea di adipe e di massa muscolare. Purtroppo non è adatto alle persone obese o a quelle troppo magre; un limite non indifferente è che l’attrezzatura in questione è molto costosa e spesso causa degli errori di misurazione.

Il margine di errore può essere +/- dal 3,5 % al 4% sui grassi

 

Metodo di MISURAZIONE DELLE CIRCONFERENZE:
Si basa sui rapporti delle varie circonferenze del corpo, ed è un sistema molto economico ed applicabile su larga scala. Tuttavia risulta adatto per persone molto obese; data la natura dei soggetti l’errore di rilevazione risulta di poca importanza, in questo sistema come in quello plicometrico non vi è rilevazione dei grassi corporei.

 

Il margine di errore può essere +/- dal 3,7% al 5% sui grassi

 

Metodo dell’ INDICE DELLA MASSA CORPOREA:
Con questo sistema basta conoscere l’altezza ed il peso ed è basato su di uno standard predefinito di sovrappeso; in questo sistema ci si rifà solo agli indici scritti e non vi è distinzione tra massa grassa e massa magra; inoltre non vi è nessuna percentuale di adipe.

Per il body building è il sistema meno adatto e non si può stabilire tra quanto può variare la percentuale di errore.

In questo articolo sono stati elencati i vari sistemi di misurazione per il rilevamento della composizione corporea dando una rapida spiegazione per ognuno; in seguito vedremo nello specifico ogni metodo e vi invito quindi a considerare quanto scritto sopra come una piccola prefazione.

Insulina… questa sconosciuta

Molte persone che praticano Body Building pensano che più si stimola l’insulina più si riesce ad aumentare la massa muscolare, ma purtroppo non è cosi.

Come prima cosa impariamo che questo ormone non risulta anabolico per il tessuto muscolare, ma che è invece sempre anabolico per il tessuto adiposo.

Quello che ci interessa capire (e che molti spesso confondono) è che l’insulina se stimolata correttamente è anticatabolica per il muscolo ed evita il catabolismo proteico endogeno.

 

Quando al contrario la stimolazione dell’insulina diviene iperinsulinemia (alti livelli ematici d’insulina) diventa ovviamente catabolica per il tessuto muscolare (stimolando l’ossidazione degli aminoacidi, specialmente quelli ramificati, ed attivando di conseguenza l’enzima epatico che causa il catabolismo).

 

Trovandoci in condizioni d’iperinsulinemia quello che si trova avvantaggiato è il tessuto adiposo poiché in questa condizione l’insulina diventa anabolica per l’adipe.Nelle molteplici funzioni dell’insulina quella che interessa ai body builder è l’apertura delle porte della membrana cellulare che permette di ricevere il glucosio legato ai suoi trasportatori (vedi GLUT4).

Da ricordare ovviamente è che ogni nutriente possiede un suo trasportatore e che lo scopo dell’insulina è solo quello di stimolare l’unico legame tra GLUT4 ed i recettori delle membrane cellulari e quindi di stimolare l’uptake del solo glucosio, infatti gli aminoacidi, i grassi ecc…  utilizzano trasportatori diversi.

Il concetto di assumere carboidrati semplici o ad alto IG nel post work out non è stato, probabilmente, compreso da molti poiché questi non servono per ripristinare più velocemente il glicogeno muscolare (è stato infatti dimostrato che il ripristino avviene maggiormente se si assumono carboidrati dopo circa 1 ora dal termine dell’allenamento), ma perché grazie alla stimolazione dell’insulina, si riesce a bloccare il rilascio di ormoni catabolici, come le catecolamine, che vengono rilasciate durante l’allenamento per lo sviluppo della massa muscolare.

 

Schema dell’effetto d’ingresso dell’insulina sul metabolismo cellulare del glucosio: l’insulina lega il recettore (1), che avvia diverse cascate di trasduzione del segnale (2). Tra di esse figura la traslocazione del trasportatore Glut-4 alla membrana plasmatica (3), la glicogenosintesi (4), la glicolisi (5) e la sintesi degli acidi grassi (6)

 

Riassumendo bene il discorso, nel post allenamento, optiamo per un dosaggio moderato di zuccheri veloci che serviranno per bloccare il catabolismo ed assumiamo una buona dose di proteine, il tutto per riportare l’organismo dallo stato d’allarme a quello di riposo; dopo un’ora dalla fine dell’allenamento faremo un pasto completo per stimolare la sintesi e riparazione tissutale ed ovviamente il ripristino del glicogeno muscolare ed epatico.

Ovviamente questo è un discorso che vale per la massa, per chi invece vuole dimagrire, sappiamo che al termine dell’allenamento la lipolisi è al massimo e personalmente dopo il work out eliminerei qualsiasi tipo di zucchero, poiché stimolando l’insulina andrebbero a limitare se non a bloccare totalmente la lipolisi.

In questo caso sarebbe ideale fare un pasto completo un’ora dopo l’allenamento, in modo da sfruttare al massimo la lipolisi senza doverci preoccupare troppo del catabolismo muscolare, dal momento che di acidi grassi e di adipe in corpo ne abbiamo sempre una riserva. Teniamo poi presente che nel lasso di tempo di un’ora, qualsiasi processo catabolico, se si fa un pasto completo, sarà invertito.