Il Fegato : la Bile

Il fegato produce la bile che, attraverso i canalicoli e le vie biliari intra ed estraepatici, si raccoglie nella colecisti, pronta ad essere riversata nel duodeno in seguito a stimoli neuro-umorali che vengono liberati durante la digestione.

La bile risulta formata da: acqua, pigmenti biliari, sali biliari, mucina, colesterolo, fosfolipidi, acidi grassi, grassi neutri ed enzimi. I pigmenti biliari sono rappresentati dalla bilirubina e dai suoi derivati. La maggior parte della bilirubina deriva dalla componente protoporfirinica dell’emoglobina, la quale rapidamente viene convertita in bilirubina in tutto il sistema reticolo-istiocitario.

La bilirubina così formata è solubile nei grassi, viene trasportata al fegato legata ad un’albumina, e qui subisce importanti modificazioni per cui diventa idrosolubile e pertanto può essere eliminata attraverso gli organi emuntori.

In prossimità dell’epatocita, la bilirubina si libera dall’albumina e, nel reticolo endoplasmatico della cellula epatica, ad opera dell’enzima glicoronil-transferasi, viene coniugata con l’acido glicuronico; solo una piccola quantità di bilirubina viene coniugata con altre sostanze, tra le quali ricordiamo il solfato attivo. La glicuronoconiugazione provoca modificazioni di numerose proprietà chimico-fisiche della bilirubina, tra le quali la più importante resta sempre la solubilità nell’acqua, il che permette l’escrezione del pigmento attraverso la bile ed i reni. L’escrezione dalla cellula epatica al canalicolo biliare avviene con meccanismo che richiede una certa quantità di energia, la quale viene fornita da alcune tappe del metabolismo degli zuccheri. Quando si è parlato del metabolismo lipidico è stato detto come il colesterolo viene sintetizzato nel fegato partendo dall’acetil-coenzima ed una parte viene esterificata con acidi grassi. La bile contiene una modesta quantità di colesterolo, la maggior parte del quale viene trasformato in acidi biliari, i quali, dopo coniugazione con taurina e glicina, vengono eliminati sotto forma di sali (taurocolato e glicocolato di sodio). La quantità giornaliera di bile prodotta dal fegato oscilla intorno al litro; è di colorito giallo chiaro e si raccoglie nella colecisti, dove subisce una energica concentrazione per riassorbimento dell’acqua, cloruri e bicarbonati. Alcuni alimenti quali il tuorlo d’uovo, i grassi in genere, i peptoni nonché l’acido cloridrico diluito, promuovono a livello della mucosa duodenale la liberazione della colecistochinina, ormone che passa in circolo e stimola per via sanguigna la contrazione della colecisti. Alla contrazione segue lo svuotamento del viscere mentre lo sfintere di Oddi si rilascia. A proposito dello sfintere di Oddi sarà opportuno precisare che, indipendentemente da quella che può essere la sua innervazione, perde la tonicità allorquando la pressione biliare, nel coledoco, raggiunge i 20-25 cm d’acqua. Lo svuotamento della colecisti può anche essere provocato dall’impiego di alcuni farmaci conosciuti con il termine di colagoghi, tra i quali ricordiamo il solfato di magnesio, al quale si riconosce anche una azione coleretica (stimolante la produzione di bile). La bile arriva nel duodeno durante la digestione ed è indispensabile per il normale svolgimento di questa. La bile infatti, ad opera dei suoi sali, abbassa la tensione superficiale dei grassi favorendone l’emulsionamento, per cui questi vengono più facilmente attaccati dalla lipasi pancreatica, la quale a sua volta viene attivata dalla bile. Ma ancora, i sali biliari si uniscono agli acidi grassi, favorendone l’assorbimento, hanno un’azione stimolante la peristalsi intestinale e sono degli ottimi coleretici. Con analogo meccanismo dell’assorbimento dei grassi, si compie quello delle vitamine liposolubili (A-D-E-K), per cui, quando si stabilisce un ostacolo al normale deflusso biliare, si determinano degli stati carenziali di queste vitamine. Gli acidi biliari, ad opera della flora batterica intestinale, nel tratto distale del tenue, vengono deconiugati dalla glicina e taurina e trasformati in acidi desossicolici e litocolici e, come tali, in buona parte sono riassorbiti e ricondotti al fegato, dove riacquistano il gruppo ossidrilico (OH) e dopo coniugazione con gli aminoacidi vengono escreti di nuovo con la bile. Si ha, pertanto, un ciclo enteroepatico dei sali biliari, il che si verifica anche per la bilirubina. Infatti, la bilirubina coniugata, giunta nell’intestino, subisce una serie di trasformazioni ad opera degli enzimi della flora batterica intestinale, e infine i suoi derivati vengono riassorbiti e riportati al fegato. La prima reazione consiste in un processo di idrolisi, per cui avviene la scissione dell’acido glicuronico dalla bilirubina che ritorna libera. Questa, per una serie di reazioni ossido-riduttive, viene trasformata in: mesobilirubinogeno, urobilinogeno e stercobilinogeno. Il mesobilirubinogeno perdendo due atomi di idrogeno si trasforma in urobilina IX, con meccanismo analogo, lo stercobilinogeno si trasforma in stercobilina e l’urobilinogeno in urobilina. La stercobilina viene eliminata con le feci a cui conferisce il colore caratteristico. Una quota di bilinogeni viene riassorbita e riportata al fegato e da questo nuovamente escreta con la bile, una piccola quota sfugge al fegato e viene eliminata attraverso i reni sotto forma di urobilinogeno che all’aria si ossida in urobilina. Ricordiamo infine che una modesta percentuale di bilirubina non viene scissa dalla flora batterica, e pertanto rimane nell’intestino sotto la forma coniugata e, molto probabilmente, come tale viene eliminata con le feci, in quanto esiste una barriera intestinale che si oppone al riassorbimento della bilirubina coniugata.

 

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all’ autore e redattore dell’ articolo: Enrico De Stefani

Il Fegato : le funzioni

Il fegato compie importanti funzioni essenzialmente di ordine metabolico, per cui la grave compromissione dell’integrità anatomica diffusa del parenchima epatico non è compatibile con la vita.

Prendiamo in esame queste funzioni dell’epatocita. Funzione emodinamica: si identifica nella possibilità da parte del di controllare il volume e la composizione del sangue circolante.

Indipendentemente dal fatto che per la sua costituzione anatomica il fegato viene considerato come un serbatoio di sangue, in determinate circostanze esso può mettere in circolo sostanze ad azione ipotensiva o sostanze ad azione ipertensiva, queste da non identificare con l’ipertensinogeno, proteina che per azione della renina si trasforma in ipertensina. Funzione gliconeo genetica e glicogenolitica: può essere definita come funzione regolatrice delle varie fasi del metabolismo glicidico, tramite la sintesi e la scissione del glicogeno. Diversi zuccheri che arrivano nel fegato vengono utilizzati per la sintesi del glicogeno che si svolge alla presenza di numerosi enzimi, ed è influenzata dal sistema neuroendocrino. Così l’insulina ed il cortisone aumentano il contenuto di glicogeno epatico, mentre esso viene mobilizzato dall’adrenalina, tiroxina e glucagone. Il glicogeno neoformato viene immagazzinato nel fegato essenzialmente negli epatociti della zona centrolobulare. I principali enzimi che prendono parte a questi processi sono:

l’esochinasi, la fosfoglicomutasi e la fosforilasi. Il glicogeno può essere scisso rapidamente in glucosio secondo le necessità dell’organismo e questo processo si compie con la partecipazione di enzimi, quali: glucosio 6-fosfatasi, fosforilasi e fosfoglicomutasi. Ma esiste anche una funzione gliconeogenetica, che consiste nella possibilità di formazione di glucosio da sostanze diverse, come aminoacidi, glicerolo ed acido lattico. Inoltre il fegato, in determinate circostanze, può trasformare il glucosio sia in acidi grassi che in aminoacidi. Funzione lipolitica e regolatrice della lipemia: il fegato, tramite la bile, partecipa all’assorbimento dei grassi, regola la scissione degli acidi grassi, presiede alla sintesi dei fosfolipidi e del colesterolo, e alla trasformazione dei glicidi in lipidi, come è stato detto sopra; i grassi che arrivano ad esso possono venire veicolati o sotto forma di trigliceridi contenuti nei chilomicroni, attraverso il sangue portale, o sotto forma di acidi grassi non esterificati i quali si liberano dal tessuto adiposo, sotto l’influenza dell’adrenalina e noradrenalina nonché di stimoli nervosi. Gli acidi grassi liberi sono trasportati nel sangue dalle proteine sieriche e in particolare dalle albumine; nel fegato vengono metabolizzati in vario modo: a) possono venire ossidati fino ad acetato, che ingrana nel ciclo di Krebs, oppure viene condensato in acido aceto-acetico, il quale o viene ossidato in tessuti extraepatici, o viene incorporato in molecole più complesse per iniziare la sintesi del colesterolo e di acidi grassi; b) possono servire alla sintesi di lipidi complessi come trigliceridi, esteri del colesterolo e fosfolipidi. Una frazione di questi lipidi resta nel fegato ed entra a far parte delle strutture cellulari, parte passa nel sangue sotto forma di lipoproteine sintetizzate dal fegato. Le lipoproteine sono formate da una quota lipidica e da una proteica di natura globulinica. Nel fegato inoltre può avvenire la risintesi degli acidi grassi, a partire da sostanze di più basso peso molecolare, specialmente dall’acetato e dal malonato, attraverso sistemi che richiedono la presenza di coenzimi piridinici. A proposito dei fosfolipidi si ricorda che il fegato assorbe facilmente quelli che si trovano nella corrente sanguigna, ed inoltre è sede della sintesi degli stessi. Perché avvenga la formazione dei fosfolipidi, sono necessari il coenzima A, l’ATP (acido adenosin trifosforico) e la colina. Per la sintesi della colina, i gruppi metilici (CH3), sono forniti dalla metionina e dalla betaina. Funzioni sul metabolismo protidico: sintesi delle proteine, scissione degli aminoacidi, formazione dell’ammoniaca e trasformazione di questa in urea. La sintesi proteica si origina dagli aminoacidi che possono derivare dall’intestino, dalla transaminazione di chetoacidi e dalla demolizione delle proteine endogene. Tra queste proteine neoformate alcune faranno parte delle proteine proprie del fegato, nel senso che partecipano alla struttura degli epatociti; altre vengono riversate nel sangue essenzialmente sotto forma di albumine ed alfaglobuline, altre fanno parte dei fattori necessari per la coagulazione. Tra queste ricordiamo il fibrinogeno, la protrombina, il fattore V, il VII, il IX ed il X. li risaputo da tempo che per il normale svolgimento della coagulazione è necessario che il fegato abbia a sua disposizione una certa quantità di vitamina K, la quale viene assorbita dall’intestino, grazie all’intervento della bile, ma fino a poco tempo fa non era ben chiarito il meccanismo d’azione di questa vitamina. Recenti ricerche hanno portato alla determinazione che la vitamina K induce nella cellula epatica la trascrizione di un particolare RNA (acido ribonucleico) messaggero, sul quale viene codificata la sintesi della protrombina e dei fattori VII, IX e X. Ma il fegato partecipa anche al catabolismo delle proteine con liberazione degli aminoacidi, i quali vengono degradati fino alla formazione di ammoniaca. Questa che rappresenta la quota derivata dalla deaminazione delle proteine, più l’ammoniaca prodotta dalle fermentazioni provocate dalla flora batterica intestinale, viene trasformata in urea. Infatti l’ammoniaca si combina con l’ornitina e l’anidride carbonica per formare citrullina, la quale si riunisce con un’altra molecola di ammoniaca formando arginina. L’arginina, ad opera dell’arginasi (enzima che si trova nei mitocondri delle cellule epatiche), viene scissa in urea ed ornitina, mentre il ciclo si ripete continuamente. Ma ancora nel fegato alcuni aminoacidi possono essere trasformati in altri, così la fenilalanina in tirosina. Un’altra importante funzione del fegato è rappresentata dalla sintesi degli enzimi, i quali sono indispensabili per lo svolgimento di tutte quelle reazioni che avvengono nell’epatocita. Particolarmente richiamano l’attenzione le transaminasi glutammico ossalacetica e glutammico piruvica che catalizzano il trasferimento del gruppo aminico di un aminoacido ad un chetoacido; le aldolasi che sono indispensabili per la scissione dell’1-6 fosfofruttosio in due molecole di triosofosfato (tappa intermedia del metabolismo degli zuccheri); 1 ‘ornitin-carbamil-transferasi che catalizza la reazione reversibile ornitina-citrullina; la fosfatasi alcalina, che trasforma l’acido fosforico legato ai composti organici in fosfati inorganici; la glucosio 6 fosfatasi che scinde il glucosio 6 fosfato in glucosio e fosfato, la lattico-deidrogenasi che trasforma l’acido lattico in acido piruvico; la xantinossidasi che ossida la xantina trasformandola in acido urico; la colinesterasi che idrolizza gli esteri della colina. La funzione che riguarda il metabolismo degli ormoni consiste nella degradazione a livello epatico di diversi ormoni. I corticoidi vengono in parte ridotti, con formazione di metaboliti inattivi con 21 atomi di carbonio, in parte vengono ossidati con formazione di metaboliti a numero inferiore di atomi di carbonio. Gli androgeni, in seguito a processi di ossidazione e riduzione, vengono trasformati in metaboliti sempre meno attivi; analogamente vengono inattivati gli estrogeni, il progesterone e gli ormoni tiroidei; tutti questi poi vengono coniugati in parte con l’acido glicuronico in parte con l’acido solforico e sucessivamente eliminati. La funzione disintossicante e di escrezione si esplica essenzialmente con la coniugazione di sostanze tossiche con acido glicuronico e l’eliminazione per via biliare. La coniugazione può avvenire anche con il solfato attivo, con la glicina, con la cisteina e con la glutamina. Il fegato inoltre rappresenta un importante organo di deposito di molte vitamine. A parte la sopra menzionata vitamina K. nel tessuto epatico si riscontrano:

la vitamina A, la D, la B12, la biotina, l’acido pantotenico, la piridossina, la tiamina che viene trasformata per un processo di fosforilazione in cocarbossilasi e l’acido folico che si riscontra nella sua forma attiva, e cioè come acido tetraidrofolico. Il fegato inoltre rappresenta l’organo di deposito per eccellenza del ferro, il quale non si trova libero dentro le cellule, ma legato a proteine sotto forma di ferritina e di emosiderina. Il distacco del ferro dalle proteine avviene quando viene ridotto allo stato ferroso, trasformazione che si realizza ad opera della xantino-ossidasi.

 

Nell’immagine è descritta l’ematopoiesi, una delle tante funzioni del fegato.

 

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Il Fegato : costituzione anatomica.

Grossa ghiandola, indispensabile per la vita dell’organismo, dotata di numerose attività essenzialmente collegate con il metabolismo intermedio. E’ situato al di sotto del diaframma ed occupa la parte più alta della cavità addominale, portandosi da destra verso sinistra raggiungendo il margine cartilagineo della VII e VIII costola.

Ha la forma di un segmento superiore di ovoide, colorito rosso bruno; è friabile e si lacera con molta facilità.

Nel soggetto adulto il fegato ha un peso che oscilla tra i 1400 e i 1500 g; in esso si distinguono tre facce: una superiore o diaframmatica, una inferiore o viscerale ed una posteriore.

La faccia superiore convessa si trova immediatamente al di sotto del diaframma, ed il legamento falciforme la divide in due parti: il lobo destro ed il lobo sinistro. La faccia viscerale o inferiore è piana ed è divisa da tre solchi che, per la loro disposizione, assumono la forma di una H, essendo situati due sagittalmente ed uno trasversalmente. Nella parte anteriore del solco destro si trova la vescichetta biliare, mentre nella parte anteriore di quello sinistro è situato il legamento rotondo, residuo della vena ombelicale. Il solco trasverso è determinato dall’ilo del fegato, da dove escono ed entrano tutti i vasi eccetto le vene epatiche. Penetrano attraverso l’ilo, la vena porta e l’arteria epatica mentre ne esce il dotto epatico. I solchi sopra riferiti dividono la superficie inferiore dell’organo in quattro lobi:

il lobo destro o quadrilatero, il lobo sinistro o triangolare, il lobo quadrato situato in avanti all’ilo ed il lobo caudato che si trova dietro all’ilo. Il lobo caudato presenta anteriormente una piccola sporgenza arrotondata che costituisce il processo papillare, mentre l’estremità posteriore termina con il prolungamento conosciuto sotto il termine di processo caudato. La faccia posteriore è concava e si assottiglia alle estremità. Due solchi, uno determinato dalla vena cava, l’altro dal legamento venoso, delimitano tre zone: destra, media e sinistra. Le tre facce del fegato sopra ricordate sono separate da tre margini: anteriore, superiore ed inferiore. Il margine anteriore è sottile e tagliente, diretto obliquamente dal basso verso l’alto e da destra a sinistra. Questo margine abitualmente si trova al di sotto della VII ed VIII costa sinistra e presenta due profonde incisure che corrispondono all’estremità anteriore dei solchi longitudinali che si trovano nella faccia viscerale. Il margine superiore ha forma arrotondata e divide la faccia diaframmatica dalla faccia posteriore; il margine inferiore presenta un’ incisura determinata dal legamento rotondo e raggiunge il margine inferiore della X, XI e XII costola. La sua superficie esterna è rivestita per la maggior parte dal peritoneo, il quale forma anche dei legamenti che uniscono il fegato alla parete addominale ed ai visceri vicini. Tra questi legamenti ricordiamo il legamento falciforme che fissa il fegato al diaframma, ed il legamento coronario che anche questo fissa in modo energico il margine posteriore del fegato al diaframma. Come è stato detto, la superficie epatica è rivestita in gran parte dal peritoneo, ma il fegato possiede un involucro proprio costituito dalla capsula di Glisson che riveste tutto l’organo senza alcuna interruzione e, in prossimità dell’ilo, avvolge l’arteria epatica, la vena porta ed il dotto epatico nonché i nervi e li accompagna fino alle loro ultime diramazioni. La vascolarizzazione del fegato è notevolmente abbondante e nello stesso tempo del tutto particolare, in quanto vi sono due importanti vasi afferenti: la vena porta e l’arteria epatica. La vena porta che convoglia tutto il sangue proveniente dall’intestino, arrivata all’ilo, si divide in due rami i quali arrivati nello spessore del fegato si ramificano come se fossero dei rami arteriosi, pervengono negli spazi interlobulari, prendendo questo nome ed emettono 5-6 venule che penetrano nei lobuli vicini. L’arteria epatica nasce dal tronco celiaco e giunta in prossimità dell’ilo si divide in due rami che a loro volta forniscono rami per i condotti biliari, rami vascolari, rami capsulari e rami interlobulari. Le vie efferenti sono rappresentate dalle vene epatiche che originano dalle vene sottolobulari che confluiscono tra di loro formando dei tronchi sempre maggiori i quali si dirigono verso il margine posteriore del fegato per sboccare nella vena cava per mezzo di due tronchi: la vena epatica destra e la vena epatica sinistra. Come è stato detto, le più fini diramazioni della vena porta decorrono negli spazi interlobulari, dove prendono il nome di vene interlobulari, e da qui emettono ramuscoli che penetrano nei lobuli dove assumono le caratteristiche dei sinusoidi, particolari capillari privi di tonaca media ed avventizia, la cui parete è formata da cellule endoteliali prive di membrana basale e da cellule stellate di Kupffer, le quali sono dotate di attività istiocitaria. E’ evidente che il lobulo epatico, unità anatomofunzionale del fegato, viene ad essere delimitato essenzialmente dai rami capillari della vena porta. I sinusoidi convergono al centro da dove ha origine la vena centrolobulare, che percorre tutto l’asse del lobulo per sboccare nella vena sottolobulare, dalla cui confluenza nascono le vene epatiche. E’ dubbio se anche l’arteria epatica partecipi alla formazione dei sinusoidi, anzi Bloom e Fawcett, in seguito ad osservazioni al microscopio elettronico, l’escluderebbero in modo categorico, mentre sarebbe stata dimostrata la presenza di anastomosi tra rami della vena porta e rami dell’arteria epatica. Le cellule epatiche hanno una forma poliedrica e sono disposte in lamine, le quali sono costituite da un solo strato di elementi cellulari. Le cellule epatiche, per mezzo delle loro facce, sono in connessione tra di loro, con i sinusoidi e costituiscono la parete iniziale dei capillari biliari. La membrana cellulare in vicinanza del capillare biliare è ispessita e la parte che forma la parete del capillare presenta dei microvilli. Tra la faccia cellulare ed il capillare sanguigno, esiste un piccolissimo spazio detto spazio di Disse, entro il quale si proiettano delle estroflessioni della membrana cellulare che anche qui formano dei microvilli, e la ricordata assenza di membrana basale tra cellule epatiche e sinusoidi sta ad indicare la facilità degli scambi che avvengono a questo livello. Inoltre tra cellula e cellula tra gli spazi di Disse, intorno alle radici dei canalicoli biliari, circola la linfa, che raggiunge in fine una lacuna (spazio di Molì), situata tra la lamina limitante e gli spazi portali. I canalicoli biliari, come sopra detto, si originano in prossimità delle cellule epatiche, non hanno una membrana propria, e tendono a confluire nella zona di passaggio, dove cominciano ad acquistare le cellule proprie. Da qui si dirigono al limite fra lobulo e spazio portale, per diventare canali biliari interlobulari. Questi confluiscono in corrispondenza degli spazi portali più ampi, formando dei canali di maggior diametro che in definitiva costituiscono, a livello dell’ilo, il dotto epatico destro e sinistro. La riunione di questi due condotti dà origine al dotto epatico comune, il quale ha una lunghezza di circa 3 cm e, dopo essersi unito con il dotto cistico, forma il dotto coledoco. Il dotto cistico si estende dalla cistifellea e termina ad angolo acuto nell’estremità inferiore del dotto epatico. La cistifellea è un serbatoio muscolomembranoso, posta sulla faccia inferiore del fegato, ha forma di pera e viene suddivisa in tre porzioni: una porzione inferiore o fondo, una media o corpo, una superiore o collo che descrive due curve ad S italica e dopo un piccolo rigonfiamento, bacinetto della cistifellea, si continua con il dotto cistico. La cistifellea è formata da tre tonache: una tonaca mucosa, costituita da epitelio cilindrico ricco di ghiandole; una tonaca fibromuscolare, formata da fibrocellule muscolari mescolate a fasci di fibre connettivali; una tonaca sierosa, che è una dipendenza del peritoneo epatico. Il contenuto medio della colecisti si aggira tra 50 e 60 cc di bile. Dalla riunione del dotto cistico con il dotto epatico, si origina il dotto coledoco che si dirige in basso e, dopo aver percorso la faccia posteriore della testa del pancreas, in cui scava un solco, perfora la seconda parte del duodeno per sboccare nell’ampolla epatopancreatica di Vater. Immediatamente prima di sboccare nell’ampolla, le fibre muscolari trasversali del coledoco si ispessiscono formando una specie di anello che costituisce lo sfintere di Oddi.

 

 

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Psicologia dello Sport

La Psicologia dello Sport nasce con l’ intento di studiare come i fattori psicologici influenzino e siano influenzati dalla partecipazione e dalla performance nello sport, nell’esercizio e nell’attività fisica in generale, al fine di accrescere lo sviluppo ed il benessere della persona durante l’ intero arco di vita.

Tradotto in termini più operativi, distinguiamo 4 grandi aree di intervento:

 

– il Benessere e la Salute, nella quale l’ attenzione è rivolta a tutti coloro che praticano attività sportiva amatoriale e di tipo ricreativo, al fine di migliorare la propria immagine, prestazione e

qualità di vita. Si lavora sulla motivazione riguardo al mantenere nel tempo tale impegno, sul raggiungimento di obiettivi di performance a medio e lungo termine, nell’aumentare il senso di soddisfazione e di self-efficacy.

– il settore Agonistico nel quale, attraverso le tecniche di Mental Training, si accompagna l’ atleta professionista alla preparazione della gara, al miglioramento della performance e dei risultati.

Se trattasi di sport di squadra si lavora sulla comunicazione e la coesione del gruppo nonché sulla gestione della leadership.

– la Riabilitazione psico-fisica, nella quale lo sport viene applicato come strumento terapeutico, di crescita e di recupero nel soggetto in convalescenza, portatore di malattie croniche o diversamente abile.

– Lo studio dei Fenomeni Devianti legati allo Sport: doping, disordini alimentari, attività fisica compulsiva.

 

 

Dr. Riccardo Caporale

Psicologo

Esperto in Psicodiagnostica clinica ed applicata allo sport