Esercizio fisico e diabete di tipo 2 (prima parte)

In questa tesi di laurea, il dr. Ginetto Bovo tratta in maniera approfondita tutti gli aspetti riguardanti il diabete di tipo 2 ed il ruolo che l’esercizio fisico svolge nella prevenzione ed il miglioramento di tale patologia.

In seguito verranno discussi gli aspetti molecolari ed il meccanismo d’azione di questa complessa patologia che affligge ogni anno milioni di persone e che dalla stime statistiche è in costante aumento.

Ruolo dell’esercizio fisico nella prevenzione primaria del diabete tipo 2: aspetti molecolari

Indice

Introduzione

Aspetti generali

1. Insulina ed esercizio

2. Insulino resistenza

Fattori prerecettoriali, recettoriali (genetici) e postrecettoriali nello sviluppo dell’insulino resistenza

1. fattori prerecettoriali: TNF alfa, Adiponectina, Obesità, Leptina, Amilina, Bilancio Energetico, sFFA;

2. fattori recettoriali (genetici);

3. fattori postrecettoriali:

1. Recettori e trasduzione del segnale: brevi caratteristiche generali;

2. GLUT4;

3. Trasporto e metabolismo del glucosio nel muscolo scheletrico;

4. Trasduzione intracellulare del segnale insulinico;

5. Effetti dell’esercizio fisico nella trasduzione intracellulare dei segnali insulinici;

6. Sistemi non insulino dipendenti in grado di potenziare il trasporto e il metabolismo del glucosio nel muscolo scheletrico (AMP Kinasi e MAP Kinasi) ed effetti dell’esercizio fisico.

INTRODUZIONE

(Zimmet 2001, Booth 2002)

Nel libro “Oxford Textbook of Public Health” – Ed. 2002 – è scritto testualmente che l’inattività fisica (sedentarietà) è uno dei maggiori fattori di diffusione della malattia diabetica tipo 2 e dell’obesità. Attualmente il diabete tipo 2 colpisce dal 3 al 5% della popolazione sia nei paesi sviluppati che di quelli in via di sviluppo. E’ noto che, in genere, tra il manifestarsi della malattia e la sua diagnosi passano almeno 5  10 anni. Per questo motivo si pensa che allo stato attuale una stessa percentuale di persone sarebbe affetta da malattia senza esserne a conoscenza. Inoltre, l’OMS informa che nei prossimi 10 anni l’incidenza del diabete tipo 2 è destinata a raddoppiare a causa dell’aumento percentuale dei soggetti in sovrappeso anche nei paesi in via di sviluppo. Secondo recenti risultati ottenuti dal Finnish Diabetes Prevention Study è stato dimostrato che il rischio di patologia diabetica può essere ridotto di ben il 58% mediante programmi mirati che includano anche l’esercizio fisico. La malattia è conseguente a fattori genetici con più o meno spiccate componenti ambientali ed è spesso caratterizzata da una concentrazione plasmatica media di insulina essenzialmente normale o anche elevata. La malattia si manifesta nella popolazione dopo i 30 anni. Due sono, fino ad oggi, i principali fattori chiave responsabili conosciuti: l’insulino resistenza e l’obesità. Su queste due principali cause di diabete tipo 2 l’esercizio fisico produce degli effetti positivi importanti (riduzione della massa adiposa, aumentata sensibilità all’insulina, ecc.). Nonostante il contributo in senso patologico del fattore genetico, il diabete tipo 2 può essere ampiamente prevenuto. Il genoma umano è stato evolutivamente programmato per l’esercizio fisico. L’inattività fisica, caratteristica dello stile di vita moderno, è ampiamente responsabile della diffusione di questo tipo di malattia. Il mancato movimento fisiologico interagisce direttamente con il genoma determinando l’attivazione di fattori patologici iniziali che conducono progressivamente verso la malattia conclamata. E’ stimato che entro l’anno 2020 ci saranno nel mondo approssimativamente circa 250 milioni di persone affette da diabete tipo 2. L’insulina è un ormone fondamentale per regolare la quantità di zuccheri nel sangue dopo i pasti e a digiuno. Le cellule dei pazienti diabetici sono incapaci di assorbire il glucosio, che rimane nel sangue raggiungendo livelli pericolosi per la salute in quanto può contribuire a glicolisare irreversibilmente alcune importanti proteine. Il diabete determina l’incapacità dell’organismo di ossidare il glucosio. Conseguentemente sia l’insulina che il glucosio si accumulano nel sangue. I valori glicemici normali o patologici a digiuno sono i seguenti:

    • 70÷115 mg/dl nei soggetti normali;
    • 115÷140 mg/dl nei soggetti con ridotta tolleranza agli idrati di carbonio;
    • 140 mg/dl nei pazienti diabetici.

Secondo un articolo apparso nella rivista “Nature” del 13 dicembre 2001 i dati relativi alla diffusione nel mondo della malattia diabetica e le relative previsioni sono i seguenti:

– anno 2000: 151 milioni (n. di persone con diabete)

– anno 2010: 221 milioni (n. di persone con diabete)

incremento 46%.

ASPETTI GENERALI

Insulina ed esercizio fisico (Marliss 2002, Zierath 2000 Shulman 2002)

L’insulina determina il metabolismo generale e l’omeostasi energetica mediante l’interazione centrale e periferica con i recettori insulinici la cui attivazione risulta coinvolta nella regolazione della sensibilità. Generalmente la concentrazione dell’insulina plasmatica diminuisce in corso di esercizio fisico sia per effetto di una aumenta eliminazione epatica sia a causa di una ridotta secrezione mediata dalla stimolazione dei recettori alfa adrenergici cui si lega l’andrenalina a livello delle cellule beta dell’insula pancreatica. In vitro è stato dimostrato che la captazione del glucosio durante la contrazione avviene mediante un meccanismo insulino indipendente e che l’insulina e la contrazione muscolare hanno effetti additivi sul trasporto del glucosio. Bassi livelli di glicogeno limitano la prestazione sportiva per cui diventa straordinariamente importante la resintesi di questo carboidrato dopo l’esercizio fisico. Se nel periodo immediatamente seguente la seduta di attività fisica non vengono introdotti i carboidrati la ricostituzione delle scorte di glicogeno è non solo rallentata ma anche incompleta. I possibili meccanismi coinvolti nella migliorata sensibilità dei recettori insulinici dopo esercizio fisico potrebbero essere i seguenti. In corso di attità fisica si determina, per effetto degli ormoni catabolici (glucagone, catecolamine, cortisolo, GH), un aumento dell’attività glicogenolitica ed una concomitante riduzione dell’attività glicogenosintetica. Conseguentemente dopo esercizio fisico, il basso livello di glicogeno favorisce in ultima analisi il miglioramento della sensibilità dei recettori insulinici in quanto si determina un aumento della captazione del glucosio, necessario per la sintesi del glicogeno, e un aumento dell’attività dell’enzima glicogenosintetasi (GS) nella sua forma attiva defosforilata. A riposo, gli elevati livelli di glicogeno esercitano un’azione inibitoria sulla traslocazione delle proteine trasportatrici del glucosio (GLUT4) e sulla glicogenosintetasi sia direttamente che indirettamente dalle molecole trasduttrici del segnale insulinico. Dopo esercizio si verifica esattamente la situazione opposta in cui bassi livelli di glicogeno stimolano la traslocazione delle GLUT4, la captazione del glucosio, la trasformazione dell’UDP-glucosio in glicogeno. Quest’ultima situazione si accompagna transitoriamente ad una inevitabile aumentata sensibilità dei recettori insulinici. L’enzima glicogenosintetasi (GS) catalizza la reazione dell’UDP-glucosio in glicogeno nel muscolo scheletrico. In relazione alla tappa riguardante il trasporto di glucosio, l’attività dell’enzima GS costituisce il fattore limitante nella conversione del glucosio in glicogeno. La GS è regolata sia da fattori allosterici (principalmente glucosio 6-fosfato) sia da modificazioni covalenti mediante fosforilazione e defosforilazione reversibili che determinano rispettivamente l’inattivazione o l’attivazione della GS. L’attivazione dell’enzima GS avviene attraverso l’inattivazione della kinasi che agisce sulla GS stessa, ma anche mediante l’attivazione delle GS fosfatasi che risulta principalmente coinvolte nelle proteine fosfatasi I (PPI).

L’insulina e l’esercizio fisico sono due importanti regolatori fisiologici di attività della GS, nonostante i sottostanti meccanismi non siano stati completamente compresi. La stimolazione insulinica dell’enzima GS molto probabilmente coinvolge la deattivazione della GSK3 e l’attivazione del PPI. Si è pensato per qualche tempo che il glicogeno muscolare fosse un potente inibitore della GS, ma è stato evidenziato anche che alti livelli di glicogeno possono ridurre la potenziale attività dell’insulina di attivazione della GS. Molto recentemente, lo sviluppo di anticorpi specifici in grado di riconoscere la fosforilazione dei siti specifici della GS hanno aggiunto importanti informazioni riguardanti l’attività di questo enzima sia nel diabete tipo 2 che negli effetti attivati dall’esercizio fisico. L’insulina non stimola la captazione del glucosio nel fegato, ma inibisce la glicogenolisi e la gluconeogenesi, e stimola la glicogenosintesi regolando in questo modo il livello di glicemia a digiuno. I tessuti cosiddetti “insulino indipendenti” quali il cervello e le cellule beta pancreatiche, possono essere importanti nell’omeostasi del glucosio.

Insulino resistenza (Shulman 2000, Chakravarthy 2002, Kahn 2000)

L’insulino resistenza consiste in una ridotta risposta dei tessuti periferici (adiposo, epatico, muscolare) all’azione dell’insulina che si lega con una minore affinità al suo specifico recettore. Il muscolo scheletrico è stato indicato come il sito più importante di resistenza all’insulina nel diabete tipo 2. I livelli di GLUT4 aumentano in seguito all’allenamento atletico sia nei soggetti normali che nei pazienti NIDDM che vanno incontro ad un aumento delle sensibilità del muscolo all’insulina. L’insulino resistenza è uno dei fattori chiave responsabile dell’iperglicemia ed è la conseguenza di numerose anormalità metaboliche associate alle malattie cardiovascolari (sindrome da insulino resistenza anche in assenza di diabete conclamato). I meccanismi coinvolti nell’insulino resistenza sono multifattoriali e solo parzialmente compresi. Fra questi risulta particolarmente importante l’aumentata disponibilità degli acidi grassi (sFFA) per i danni da questi provocati a livello del sistema muscolare. Il ruolo degli sFFA nel diabete tipo 2 è particolarmente evidente nei soggetti obesi che hanno diverse anormalità del metabolismo lipidico. L’esercizio fisico tramite l’aumentata captazione del glucosio ematico può contribuire nei soggetti con insulino resistenza a migliorare l’omeostasi glicemica. L’insulino resistenza è un aspetto fondamentale nell’eziologia del diabete tipo 2 ed è anche legata, tramite meccanismi diversi all’ipertensione, all’iperlipemia, all’aterosclerosi, alla policisti dell’ovaio. L’insulino resistenza nell’obesità è manifestata da un diminuito trasporto e metabolismo del glucosio negli adipociti o nel muscolo e da una peggiorata soppressione della produzione epatica di glucosio. Anche se le cause primarie del diabete tipo 2 sono tuttora sconosciute, l’insulino resistenza è comunque uno dei principali fattori nello sviluppo di questa malattia. L’insulino resistenza non è più la causa ma è l’effetto (es. di un deficit della sintesi del glicogeno a livello muscolare) e consiste essenzialmente in un difetto nella trasduzione del segnale in un punto della catena che va dal recettore fino alla parte terminale della sequenza di reazioni che determina i vari effetti metabolici. La combinazione di parecchi effetti associati risultano in un debole segnale di trasduzione, insufficiente a generare una risposta totale di assunzione di glucosio. Il sistema muscolare è il principale tessuto responsabile dell’insulino resistenza . Il muscolo scheletrico è stato indicato come il sito più importante di resistenza all’insulina, (fibre rosse o aerobiche in particolare) nel diabete tipo 2. Fra i fattori che contribuiscono all’insulino resistenza vi è anche il cambiamento energetico inteso come rapporto fra ATP ed il prodotto ADP libero e fosfato inorganico: APT/ADP libero + Pi libero. Recenti dati ottenuti da vari gruppi di pazienti hanno evidenziato un nuovo meccanismo di insulino resistenza: un diminuito effetto dell’insulina nello stimolo del flusso ematico. Sono state evidenziate alcune ricerche in cui il meccanismo opposto può elevare l’insulino sensibilità negli individui allenati aerobicamente. Alcuni ricercatori hanno dimostrato l’esistenza di recettori insulinici nell’endotelio vascolare dei muscoli scheletrici. Questo può significare che la maggior densità dei capillari nei muscoli allenati può migliorare l’azione insulinica nei soggetti attivi che, ovviamente, hanno una frazione significativa di fibre lente (ossidative) nei muscoli sottoposti ad esercizio. Alcuni studi hanno dimostrato che questo profilo si accompagna a uno stato di migliore insulino sensibilità.

 

VEDI ANCHE:

Esercizio fisico e diabete di tipo 2 (seconda parte)
Esercizio fisico e diabete di tipo 2 (terza parte)
Esercizio fisico e diabete di tipo 2 (quarta parte)


Laurea in Scienze Motorie

Tesi di laurea: Ruolo dell’esercizio fisico nella prevenzione primaria del diabete tipo 2: aspetti molecolari
Relatore: Ch.mo Prof. Federico Schena
Laureando: Ginetto Bovo
Anno accademico 2001-2002

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